Salina, come già La morte di re Tsongor, fa parte del filone delle storie arcaiche in cui Laurent Gaudé racconta un mondo antico, dell'uomo, senza tempo.
«È
un testo semplicemente superbo, il risultato perfetto che unisce i due
talenti di Laurent Gaudé: quello del romanziere e quello del
drammaturgo» – Livre Hebdo
Un cavaliere scende dalle
montagne, attraversa il deserto. Nessuno sa chi sia né da dove venga. Ha
con sé un fagotto urlante, un neonato in fasce i cui strilli gli
perforano il cranio da giorni. Senza dire una parola il cavaliere entra
nel villaggio dei Djimba, smonta, posa a terra il rumoroso fardello e se
ne va tra gli sguardi attoniti degli abitanti. Nessuno sa se
considerare una fortuna o una disgrazia quell'esserino mandato dagli
dei. Nel dubbio il re decide di lasciare che il sole lo uccida o che le
iene lo divorino. Ma il sole tramonta, le iene non lo mangiano e il
fagotto in fasce continua a spaccare i timpani di tutti. Allora una
donna si alza e, senza chiedere niente al re, lo prende in braccio e se
lo attacca al seno. Torna il silenzio. La donna si accorge che il
neonato è una neonata. «Ti chiamerò Salina» dice, «in ricordo del sale
delle tue lacrime». Così comincia la storia di Salina, la donna dai tre
esili, la cui ricerca di una felicità che le è dovuta provocherà una
successione infinita di sciagure. Un viaggio in cui i sentimenti e le
azioni dei personaggi si sviluppano in tutta la loro essenzialità in un
paesaggio fatto di pietre e climi estremi, un mondo in cui la cruda
realtà della materia convive con il senso magico dell'esistenza.
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