Come hanno potuto milioni di americani identificarsi nella narrazione
deliberatamente aggressiva di Donald Trump? Com'è possibile che tanti
europei girino lo sguardo di fronte a migliaia di persone che affogano
nel Mediterraneo? Come è potuto tornare il richiamo del
nazionalsocialismo nelle province orientali europee? Che cosa, infine,
fa chiedere agli occidentali minore giustizia sociale, proprio quando
aumentano le disuguaglianze? Viaggio al termine dell'Occidente percorre
le strade lungo le quali ci stiamo perdendo: da Berlino a Washington, da
Roma a San Francisco, cerca i segnali di uno smarrimento che sta
modificando anche il carattere delle persone. Le radici del problema
sono nel funzionamento della società e dell'economia che non produce più
convergenza e comuni obiettivi. Da quando tecnologia, finanza e
capitale umano si concentrano in singole professioni, settori o aree
geografiche, la dinamica che segna gli individui è quella della
divergenza. Non si tratta solo di diseguaglianze, ma di interi destini
che divergono, per alcuni verso quello che sembra un declino
inarrestabile, per altri verso un'indifferenza esistenziale e un senso
di distacco e superiorità. Se il linguaggio della convergenza era la
sconfitta della povertà e il benessere di tutti, quello della divergenza
è la discriminazione e la recriminazione: costruiamo muri e riteniamo
che le sofferenze altrui siano giustificate. Quando l'incrudimento dei
destini personali coincide con la divergenza di interi Paesi, la
retorica nazionalista finisce per prendere il sopravvento. Il viaggio
tocca anche l'Italia, il Paese in cui da anni le scelte pubbliche
assomigliano alla Lotteria di Babilonia e che è ora più esposto di altri
alle tentazioni autoritarie.
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