Un romanzo crudo e potente tra due lingue e due culture, tra gli
anni Settanta e oggi. Un libro vorticoso tra perfezionismo,
autolesionismo, menzogna e dipendenze.
«La nascita di una scrittrice che sulla pagina non sbaglia mai misura, se di misura vogliamo parlare.» - Teresa Ciabatti, Corriere della Sera
«Una storia di tremenda potenza.» - Loredana Lipperini
«Un vorticoso e ipnotico viaggio nel dolore, nella follia e nel perfezionismo: imperdibile.» - Alessandra Di Pietro, Elle
«Leggo Costanza Rizzacasa d’Orsogna e mi pare di trovare le parole per tutto quello che mi ha fatto e mi fa davvero male.» - Chiara Gamberale
«Non
c’è un problema che un farmaco non curi, mamma lo dice sempre. A casa
nostra non si parla, si prendono medicine. Così lei mi dà il Dulcolax
ogni sera perché sono una bambina grassa. Due compresse, quattro, otto. E
io non so che legame ci sia tra il Dulcolax e una bambina grassa, visto
che non dimagrisco...»
C’è un peso che non si può perdere,
anche quando l’hai perso tutto. Matilde lo sa: la mamma, bulimica, passa
le giornate a vomitare; lei ha cominciato a ingrassare quando aveva sei
anni ed è affamata da una vita. A scuola elemosina biscotti, a casa
ruba il pane, e intanto sogna che le taglino la mano. Ottanta chili a
sedici anni, a diciotto quarantotto; Matilde va in America a studiare,
splende, ma la fame e la paura le vengono dietro. Finché, dopo la morte
della madre, il tracollo finanziario del padre e una relazione violenta,
supera i centotrenta chili. E quando esce, c’è sempre qualcuno che la
guarda con disprezzo. Allora Matilde si chiude in casa per tre anni, e
sui social si finge normale. Ma che vuol dire normale?
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