In una sonnolenta cittadina del profondo Sud degli Stati Uniti
l'avvocato Atticus Finch è incaricato della difesa d'ufficio di un
afroamericano accusato di aver stuprato una ragazza bianca. Riuscirà a
dimostrarne l'innocenza, ma l'uomo sarà ugualmente condannato a morte.
Questo, in poche righe, l'episodio centrale di un romanzo che da quando è
stato pubblicato, oltre cinquant'anni fa, non ha più smesso di
appassionare non soltanto i lettori degli Stati Uniti, ma quelli di
tutti i paesi del mondo dove è stato tradotto. Non si esagera dicendo
che non c'è americano che non l'abbia letto da bambino o da adolescente e
che non l'abbia consigliato a figli e nipoti. Eppure non è un libro per
ragazzi, ma un affresco colorito e divertente della vita nel Sud ai
tempi delle grandi piantagioni di cotone, dei braccianti neri che le
coltivavano, delle cuoche di colore che allevavano i figli dei
discendenti delle grandi famiglie dell'Ottocento, della white trash, i
"bianchi poveri" abbrutiti e alcolizzati; e anche, purtroppo, delle
sentenze sommarie di giurie razziste e degli ultimi linciaggi americani
della storia. Quale il segreto della forza di questo libro? La sua voce
narrante, che è quella della piccola Scout, la figlia di Atticus, una
Huckleberry Finn in salopette (dire "in gonnella" sarebbe inesatto,
perché Scout è una maschiaccia impertinente e odia vestirsi da donna)
che, ora sola ora in compagnia del fratello maggiore e del loro amico
più caro (ispirato all'autrice dal suo amico d'infanzia Truman Capote),
ci racconta la storia di Maycomb, Alabama, della propria famiglia, delle
pettegole signore della buona società che vorrebbero farla diventare
una di loro, di bianchi e neri per lei tutti uguali, e della vana
battaglia paterna per salvare la vita di un innocente.
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