L'amicizia fra Benjamin e Scholem spicca, nel Novecento, come una tra le
più affascinanti e vitali. E quando nel 1980 Scholem pubblica questo
carteggio, che copre gli ultimi otto anni della vita di Benjamin, vuole
rendere giustizia a un rapporto complesso e non privo di contrasti, ma
improntato a una profonda fedeltà. Grande studioso della Qabbalah e
della mistica ebraica, Scholem è, nel 1932, già da tempo in Palestina e
ormai a un passo dalla cattedra; la vita di Benjamin, cabbalista in
incognito e profondo innovatore del pensiero, attraversa invece la sua
fase più tormentata: ospite di volta in volta a Ibiza, Parigi, Sanremo e
in Danimarca, è costantemente alla ricerca di una base di sussistenza.
Tra i due, fortemente segnati dalla formazione nella Berlino di inizio
secolo e subito attratti dalle ricerche l'uno dell'altro, si sviluppa un
confronto incessante che investe l'attualità politica, i libri letti,
le comuni conoscenze (da Buber a Bloch, da Brecht ai francofortesi), e
che trova il suo fulcro nei densissimi scambi a proposito di Kafka. Un
dialogo a distanza – se si esclude il breve incontro parigino
dell'inverno del 1938 – e non di rado drammatico, intessuto com'è anche
di malintesi, puntute allusioni, eloquenti silenzi, ma che resta una
prova convincente delle parole con cui Benjamin definì il suo rapporto
con Scholem: «fra Gerhard e me le cose stanno così: ci siamo persuasi a
vicenda».
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